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Italia: il Paese dei campi e il Popolo delle discariche



Campo del Poderaccio, Firenze (Italia) © Lorenzo Monasta


  • In passato, i campi nomadi sono stati forme di aggregazione di comunità rom, ma sono anche il frutto dell'emarginazione da parte delle istituzioni. Nelle città italiane, sono state una scelta di politica abitativa fatta nel Secondo Dopoguerra. 
  • Oggi, in Italia 40.000 Rom e Sinti (un quarto del totale) vivono nei campi nomadi. 
  • Il campo nomadi rischia di diventare un ghetto periferico, in forte isolamento dalla vita civile, e in pessime condizioni sociali.

Italia: il Paese dei campi

“La politica dei campi, spiega Piasere, inizia verso la metà del Novecento, in seguito all'arrivo dei Rom dalla ex Jugoslavia, non come una precisa scelta nazionale ma come «una politica locale che si allarga a contagio a partire dalle città del nord e che dagli anni Ottanta è supportata finanziariamente e legislativamente da alcune Regioni. In base a questa politica e a questi interventi. L'Italia diventa il "paese dei campi"[...]. Una volta arrivati nel "paese dei campi", molti Rom da secoli sedentari in Jugoslavia devono "riziganizzarsi" alla occidentale e devono, se non diventare nomadi, vivere comunque in un campo senza fognature, in abitazioni con ruote o baracche. Fatti aderire all'immaginario corrente dello "zingaro ex nomade e inurbato", essi lo nutrono e lo modernizzano: oggi per tanti italiani lo zingaro è per definizione quello che abita in un campo fatiscente! La maggioranza di questi Rom, invece, i quali non hanno mai abitato in abitazioni mobili né in un"campo" di cui non hanno nemmeno il termine nella loro lingua, sperano che o kampo sia un momento transitorio della loro vita di profughi».
Ancora la Comunità di Sant'Egidio osserva: «La risposta istituzionale è stata quella di trovare soluzioni per popolazioni nomadi. Molte regioni italiane hanno approvato leggi che prevedevano la creazione di “campi”. Ma i campi realizzati (generalmente) sono state strutture pensate per la sosta temporanea e non per l’abitazione di gruppi sedentari. Inoltre molte municipalità hanno dato autorizzazioni (temporanee) a “campi” senza le minime strutture d‟accoglienza previste dalla legge (acqua corrente, fogne, luce) e ciò ha comportato che 2-3 generazioni di Rom/Zingari siano sostanzialmente nate e vissute in luoghi non molto dissimili dalle discariche, con tutte le conseguenze umane e sociali. Cito come esempio più clamoroso quello dei circa 30-35.000 rom di origine ex jugoslava. Il primo gruppo è arrivato negli anni ‘60-70 proveniente dalle diverse regioni del paese (Rudari e Kanijarija dalla Serbia, Kalderasa dalla Croazia, Korakané dalla Bosnia e dal Montenegro), il secondo a partire dagli anni ‟90, a causa della guerra (da Bosnia e Kosovo). Il gruppo giunto quarant’anni fa è sostanzialmente vissuto e cresciuto in vere e proprie discariche nelle nostre città in totale isolamento dalla vita civile e da qualsiasi rapporto positivo con le istituzioni. Tutto ciò ha creato spaesamento soprattutto tra le nuove generazioni, cresciute nella realtà opulenta delle città senza possedere gli strumenti culturali e relazionali per confrontarsi con la società circostante. Una delle conseguenze di questa condizione è indubbiamente stata la crescita della devianza minorile. Ormai in Italia vi sono due o tre generazioni di Rom che sono cresciuti in “discariche”, in perenne ritardo nelle relazioni con il resto del mondo, paria in una società che non li considera e li rifiuta»”.

Dal “Rapporto conclusivo dell'indagine sulla condizione di Rom, Sinti e Caminanti in Italia”, Senato della Repubblica Italiana, 2011.

Approfondimenti

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